Simbolo della Raccolta dei Vetri, il calice in vetro cristallino è stato probabilmente commissionato da un successore di Francesco Sforza, forse Ludovico il Moro. Ornato da gocce di smalto rosso e bianco e da semisfere dorate, reca due targhe araldiche sforzesche sormontate da una corona ducale dorata. Nello stemma quadripartito si riconoscono le bisce viscontee e le aquile imperiali. Unico prezioso superstite di un servizio da tavola per i Signori di Milano, il bicchiere, restaurato al nodo nel Seicento, è stato acquistato nel 1900.

Fondatore del collettivo italiano di design e architettura Memphis, attivo tra il 1981 e il 1987, Ettore Sottsass (1917-2007) propone insieme al gruppo una serie di pezzi esclusivi di design, realizzati in materiali non preziosi come i laminati plastici e caratterizzati da colori vivaci e forme originali. Gli oggetti si trasformano in messaggi di provocazione per la tradizionale cultura del design. Il mobile Casablanca più che un arredo è una scultura, un oggetto dinamico e ludico al tempo stesso.

I cassoni erano mobili usati frequentemente dal Medioevo in poi, in quanto maneggevoli e trasportabili. Tradizionalmente contenevano il corredo delle spose. Questo cassone, che conserva di originale solamente la parte frontale, mostra tre duchi Sforza, Galeazzo Maria, Gian Galeazzo e Ludovico il Moro a cavallo e accompagnati da scudieri. Venne forse realizzato per il matrimonio tra Chiara, figlia di Galeazzo Maria Sforza, e Fregosino Fregoso, figlio del doge di Genova Paolo, avvenuto nel 1488.

Le Console, offrendo un piano d’appoggio senza ingombrare i saloni, destinati a ricevimenti e balli, erano mobili assai apprezzati nel Seicento. Questo esemplare genovese, riccamente ornato da un putto seduto su uno sperone di roccia, raffigurato nell’atto di nascondersi da un leone, presenta un disegno estroso, che trova confronti con il gusto architettonico e scenografico dei contemporanei palazzi genovesi. L’inserimento del leone ha fatto ipotizzare un collegamento del pezzo con la famiglia genovese Brignole Sale, che rinnovò con dispendio di mezzi il palazzo e gli arredi nel Seicento.

La straordinaria opera è un invito del committente Quintino Lucini Passalacqua, canonico della Cattedrale di Como, a meditare sulla riflessione morale che “quando la ragione si lascia guidare dal senso le cose vanno male”. Tutta la parte superiore dello stipo, una volta aperto, è organizzata in questa direzione: le preziose statuette in avorio dei cinque sensi, scolpite da Guillame Berthelot, i dipinti del Morazzone con scene bibliche, soprattutto il piccolo bronzo al centro con la ragione trascinata via da cinque animali selvatici, sono un’allusione al pericolo costituito dal prevalere dei sensi.

La fronte dello stipo riproduce la facciata del genovese Palazzo Doria Tursi, compiuto tra il 1572 e il 1579, caratterizzata da due ordini architettonici. Dietro l’elegante facciata sono cassetti e segreti, molto apprezzati dai raffinati collezionisti del XVI e XVII secolo. Il riconoscimento, sulle cerniere di metallo che consentono di aprire i cassetti, dello stemma di Ulpiano Volpi, vescovo di Chieti e Novara, ha permesso di ipotizzare che il Volpi sia il committente di questa opera pregevole.

La scultura faceva parte, con la Madonna, la Maddalena, San Giovanni e Giuseppe d’Arimatea, di un Compianto smembrato e disperso tra varie collezioni private. Solamente la dolente figura di Nicodemo, acquistata dal Comune di Milano nel 1994, appartiene a una collezione pubblica. Destinate a trasmettere agli spettatori il dolore per la morte di Cristo, le figure dei compianti sono molto espressive. In quest’opera un tempo policroma, lo scultore rivela la sua abilità nella cura di ogni particolare. Il corpo è sottoposto a una drammatica torsione del busto, mentre il volto, in cui emergono vene assai realistiche, presenta la bocca semiaperta in un’espressione di grande sofferenza e sconcerto.

Le sei poltrone, appartenenti alla dimora della illustre famiglia Durini, vennero donate alle raccolte nel 1939. Sulla seduta e sulla spalliera un tessuto lavorato ad arazzo e prodotto a Beauvais narra per immagini le favole di La Fontaine. Il celebre narratore francese scrisse nel XVII secolo brevi fiabe ispirate a Esopo, in cui gli animali simboleggiano vizi e virtù dell’uomo. Prodotte in una bottega lombarda, le poltrone mostrano intagli rocaille e forme ampie, adatte ad accogliere signore del Settecento, vestite nei preziosi e ingombranti abiti alla moda.

Il cassettone presenta le forme mosse e ornate tipiche del gusto rococò, con ornamenti in bronzo raffiguranti maschere teatrali e figurine cinesi a sottolineare cassetti, spigoli anteriori e gambe. Le vivaci scenette di gusto orientale dei medaglioni centrali si devono al disegno del giovane Andrea Appiani, autore di molti disegni utilizzati da Maggiolini e bottega per ornare i mobili. Usando con sapienza legni locali e orientali, l’ebanista crea un mobile di rara lucentezza. Il pregevole pezzo è stato donato alle Raccolte nel 1895.