La grande tela dei Galimberti costituisce un nodo interessante nella produzione di Delleani: da sempre legato alla rappresentazione del paesaggio, l’artista affronta qui il tema religioso, per lui inconsueto, con un risultato che, in definitiva, non soddisferà né l’autore né la critica, che lo accuserà di aver rinnegato il verismo. Esposto alla biennale di Venezia del 1903, il dipinto viene accolto con poco entusiasmo. Amareggiato dai duri giudizi, il pittore ricoverò l’opera nel suo studio a Torino; qui, la grande tela rimase a impolverarsi per un paio d’anni, fino al 1905, quando entrò nell’atelier di piazza Vittorio di Alice Galimberti.

La tela è certamente uno dei pezzi maggiormente rilevanti della collezione, significativo esempio della stagione divisionista e di uno dei suoi protagonisti più illustri: Gaetano Previati. La tematica del rapporto tra madre e figlio fu particolarmente cara alla pittura ottocentesca e a Previati in particolare, che spesso la tradusse attraverso il legame tra Maria e Gesù Nel dipinto cuneese, il tema è trattato in maniera particolarmente spontanea e vivace e la presenza nella scena di una figura maschile più anziana in secondo piano potrebbe far rileggere il soggetto come una Sacra famiglia.

L’opera fu realizzata durante il soggiorno americano dello scultore ed esposta per la prima volta all’Art Club di Filadelfia nel 1915. Raffigura Lady Constance Stewart- Ricardson, nuda in un passo di danza slanciato, elegantemente accompagnato da un gesto teatrale del braccio sinistro. La statuetta, replicata in più versioni, alcune delle quali presenti in musei americani (Detroit Institute of Arts, Metropolitan Museum di New York), raffigura la protagonista vestita di una leggera e aderente tunica alla greca, e, molto più raramente, del tutto nuda.

L’autore coglie con delicatezza e sensibilità il colloquio serioso dei tre bambini, differenziandone le espressioni anche grazie alla diversa postura. Il piccolo gruppo riflette con pienezza una delle caratteristiche di Prini, evidente soprattutto ai primi tempi del suo trasferimento a Roma: la particolare “capacità di esprimere sentimenti, emozioni e tipi psicologici” (Panzetta), già riconosciutagli dai contemporanei, in un soggetto, quello

delle immagini dell’infanzia, non facile, per quanto molto praticato da scultori e pittori tra Otto e Novecento. Giovane scultore con “l’animo di un bimbo buono”, come scrisse Antonio Maraini.

La plasticità della materia utilizzata valorizza un modellato incisivo, forte, e i valori di superficie, evidenti nel variare delle tessiture a seconda del materiale imitato, dalla ruvidità della stoffa spessa della giubba alla sericità del fazzoletto alla pelle, secondo un indirizzo verista spinto sino al mimetismo descrittivo, caratteristico dell’insegnamento di Odoardo Tabacchi, di cui Sartorio fu abilissimo allievo. La potenza di questo vigoroso ritratto è data inoltre dalla fiera e decisa espressione del volto, nella quale l’età avanzata evidenzia i tratti severi e ammonitori del personaggio. La presenza del busto in Casa Galiberti è espressione di una autentica venerazione che Tancredi e i figli ebbero per l’eroe risorgimentale, testimoniata, tra l’altro, dagli scritti del padre, dall’impegno profuso dalla “Sentinella delle Alpi” nel promuoverne i festeggiamenti e dai numerosi documenti sull’epopea garibaldina presenti nella biblioteca e nell’archivio della casa.