Ancora lignea di grandi dimensioni (circa 3 m di lunghezza per 2,5 di larghezza), priva di ceppo e contromarra. L’ancora venne ritrovata non distante dai resti della nave oneraria A.

Croce in oro lavorata a sbalzo proveniente dallo scavo di una tomba longobarda, la tomba F. Pisa, Piazza dei Miracoli, prima metà VII sec. d.C.

Ritrovato frammentario alla fine degli anni ’80 del secolo scorso nell’area di un cantiere da costruzione della zona nord di Pisa, e quasi interamente ricostruito, il cippo funerario, in marmo apuano, doveva essere costituito da due parti: quella inferiore a forma di parallelepipedo mentre il coronamento superiore presentava la forma di un cippo a cipolla. Sugli spigoli sono scolpiti dei leoni rampanti e al centro, probabilmente ripetuta sulle quattro facce, una figura femminile, interpretata come una “Sirena con la coda aperta a ventaglio”. L’iconografia è tipica della rappresentazione statuaria femminile greca di età arcaica (VI sec. a.C.)

Rostro in bronzo di epoca romana di provenienza ignota. Confisca giudiziaria

Prua in legno di quercia della nave Alkedo. Fissata alla struttura della nave tramite una serie di robusti chiodi di bronzo, doveva essere ricoperta da una lamina di ferro, la cui impronta era ancora visibile in fase di scavo.

Cavallino “giocattolo” in terracotta ritrovato negli strati alluvionali nei pressi della Nave A, si data verso la fine del II sec. d.C.

Affondata entro la prima metà del I sec. d.C., è stata identificata come un’imbarcazione da diporto. La struttura, in legno di leccio e pino, con un inserto a prua di legno di quercia, si è conservata in maniera straordinaria: sono ancora visibili le panche su cui sedevano i rematori e una tavoletta inchiodata su una delle panche che riporta, incise sul legno, le cinque lettere che compongono la parola ALK(E)DO. Gabbiano appunto, traduzione dal latino, è il nome che identifica la nave. In fase di scavo sulle fiancate esterne risultavano ancora ben visibili le tracce di colore rosso e bianco, colori con cui doveva essere stata dipinta l’imbarcazione.

Riproduzione del sacchetto di fibre vegetali e tessuto (dell’originale rimangono solo filamenti) e dei 171 sesterzi in bronzo (questi perfettamente conservati) ritrovati nel contesto del “bagaglio del marinaio”. Le monete, datate dalla seconda metà del II alla metà del III sec. d.C., erano contenute in un sacchetto e, insieme ad altri oggetti, vennero ritrovate in uno dei due scomparti di una cassetta lignea, munita di coperchio e serratura, scavata in uno degli strati di sabbia che coprivano la nave A.

La storia delle navi di Pisa inizia nell’Ottobre del 1998, con la scoperta dei resti della prima delle imbarcazioni che dettero avvio ad uno degli scavi archeologici più straordinari degli ultimi venti anni, la nave A, di cui si conserva una porzione della chiglia (circa 10 m di lunghezza). Si trattava di una nave oneraria lunga all’incirca 30 metri, affondata con il suo carico di merci verso la fine del II sec. d.C.

Il “barchino F”, 9 m di lunghezza per circa 1 di larghezza, venne travolto da una ondata di piena nell’area dello scavo delle navi di Pisa agli inizi del II secolo d.C.; la piccola imbarcazione venne ritrovata piegata su una fiancata. Realizzata interamente in legno di quercia, con un doppio scafo, era probabilmente utilizzata per la pesca e per movimentare merci lungo le vie d’acqua che attraversavano la pianura pisana. Forse lungo i canali poco profondi bastava un solo uomo a spingere l’imbarcazione facendo perno con una pertica sul fondo del canale, come si vede fare ancora oggi ad esempio nei canali del Padule di Fucecchio.

A sinistra, ancora in ferro, probabilmente dotata di ceppo mobile, come l’esemplare di Nemi, ritrovata negli strati di fine I - inizi II sec. d.C. A destra, ricostruzione di ancora romana con ceppo originale in piombo, di provenienza ignota, recuperato nel corso di un sequestro giudiziario.

Rilievo in marmo, forse pertinente a una antefissa, con la rappresentazione di una maschera teatrale. Ritrovato negli strati di alluvione di II sec. d.C.

Imbarcazione databile intorno alla metà del III sec. d.C., ritrovata al di sotto della nave D, affondata poco meno di duecento anni più tardi. In legno di quercia, presenta una struttura molto simile a quella di una chiatta fluviale; veniva probabilmente utilizzata per la movimentazione di merci e persone lungo la riva del fiume, per mezzo di una alzaia.

Affondata entro la prima metà del I sec. d.C., è stata identificata come un’imbarcazione da diporto. La struttura, in legno di leccio e pino, con un inserto a prua di legno di quercia, si è conservata in maniera straordinaria: sono ancora visibili le panche su cui sedevano i rematori e una tavoletta inchiodata su una delle panche che riporta, incise sul legno, le cinque lettere che compongono la parola ALK(E)DO. Gabbiano appunto, traduzione dal latino, è il nome che identifica la nave. In fase di scavo sulle fiancate esterne risultavano ancora ben visibili le tracce di colore rosso e bianco, colori con cui doveva essere stata dipinta l’imbarcazione.

Copia in formato 1:1 della nave Alkedo

Decorazione a rilievo, probabilmente la rappresentazione di un pesce razza, presente sulla tavola fissata con chiodi di ferro alla grande ancora lignea

Entro la prima metà del V sec. d.C. affonda la nave D, un barcone fluviale di medie dimensioni, che chiude la sequenza delle imbarcazioni note: si tratta infatti dell’ultimo affondamento di imbarcazione all’interno del contesto scavato del cantiere delle navi antiche. La nave venne ritrovata completamente rovesciata, priva quasi completamente della chiglia ma con gran parte dell’opera morta (la parte dello scafo dell’imbarcazione al di sopra del piano di galleggiamento) ancora intatta, così come si può vedere in museo.

Durante lo scavo della “nave ellenistica” vennero ritrovati quattro bruciaprofumi (thymiateria) in terracotta, frammentari, con la rappresentazione di busti femminili. Solo uno dei quattro presenta ancora visibili sul capo i resti della vasca destinata a contenere probabilmente le essenze da bruciare. Oggetti simili a questi sono stati ritrovati nella zona di Alicante (nel cui bellissimo museo è esposta una incredibile quantità); ciò lascia ipotizzare che anche i thymiateria ritrovati nel contesto pisano possano essere arrivati dalla penisola iberica.

Dado da gioco in osso, truccato, con dischetto di chiusura, sempre in osso, della faccia truccata; ritrovato negli strati di alluvione del II sec. d.C.

Urna cineraria, priva di coperchio, dai depositi della Soprintendenza Archeologica. Al di sotto della cornice, sulla fronte, a bassorilievo, rappresentazione di Ulisse ammaliato dal Canto delle Sirene: a destra una nave con le vele spiegate, al cui albero è legato un uomo vestito del solo mantello, Ulisse, e i marinai seduti sulle panche intenti a remare. A sinistra tre figure femminili sedute, vestite di tunica e mantello, intente a suonare. La rappresentazione del ciclo di Ulisse è particolarmente diffusa in ambito volterrano in età ellenistica.