Dal 27 giugno al 27 settembre 2020
In occasione del Premio Lissone 2018, la Giuria formata da Marco Meneguzzo, Demetrio Paparoni e Alberto Zanchetta aveva assegnato il “Premio MAC” a Alexis Harding, riconoscimento che gli ha permesso di programmare una mostra personale al Museo di Lissone. L’esposizione, che si concretizza a distanza di due anni, mette in luce la densità e intensità cromatica dell’artista. Grazie a una pratica di ripensamento dei limiti della pittura, l’artista ridefinisce l’epidermide della pittura, che, pur perdendo aderenza con la tela, acquista maggiore aderenza con la realtà.
Il lavoro di Harding è una combinazione di strategia, controllo, irrazionalità e abbando-no. Esponente di spicco della cosiddetta “pittura processuale”, l’artista esplora e celebra le intersezioni tra astrazione e rappresentazione sottoponendo le opere a una singolare tensione fisica che le imbriglia e le allunga fino al punto di rottura.
Nel piano nobile del Museo, Harding ha realizzato una serie di opere che rispecchiano un modus pingendi che si mantiene poroso e flessibile, come fosse ancora in fieri. I dipinti selezionati per questa sua prima mostra in un museo italiano sono incentrati (quasi ossessivamente) sulla superficie e sulla struttura della pittura. Come tiene a spiegare l’artista: «Voglio sottoporre la pittura a una serie di forze fisiche–comportamentali, innescando dei movimenti e delle interruzioni che sanciscono un punto di partenza, che è centrale e fondamentale nel mio lavoro. Questi dipinti sono turbolenti e delicati, assorbono e permettono al mondo di entrare in essi. Per l’occasione ho provato a selezionare un corpus di opere che attinge a una vasta gamma di idee e di immagini. Malgrado io cerchi di seguire e guidare questi lavori, loro resistono al mio controllo e alla fine riescono a trovare una strada diversa, la propria strada: sono dipinti che “non finiscono mai”, sono sempre incompiuti, continuano a esistere nel presente».
Alexis Harding lavora per stratificazioni: l’imprimitura è ottenuta con uno strato di base che mescola pittura a olio con grandi quantità di olio di semi di lino, soluzione che richiede lunghi periodi di asciugatura; in seguito l’artista vi applica una vernice industriale ad asciugatura rapida (in anni recenti ricorre a una vernice spray) che si indurisce in poche ore. Il processo permette di ottenere una superficie tanto complessa quanto intricata, che viene poi tagliata, smossa e trascinata dando origine al dipinto vero e proprio. Tale gestazione consente all’artista di sperimentare un “palpabile senso di scoperta”, alla ricerca di un’eleganza formale che si accorda al nitore e all’esuberanza del colore.
La metapittura di Harding collima con la metafora della “rottura” e della “distruzione”. I dipinti vengono scanditi da una maniacale lentezza, impiegano settimane per stabilizzarsi, dopodiché l’artista interviene sulla superficie con gesti istantanei e risolutivi. Anche se le azioni/decisioni vengono prese in pochi secondi, il lavoro continua a evolvere nel corso dei mesi successivi, assecondando gli smottamenti cagionati dalla forza di gravità (le opere esistono nel momento, ma sono anche, paradossalmente, fissate nel tempo, per sempre).
I dipinti di Harding sono astratti solo in apparenza. Nel corso degli anni, il suo lavoro ha attinto a suggestioni molto ampie e diversificate che coinvolgono il mondo naturale e l’anatomia umana. Ciò nondimeno, le immagini si mantengono ambigue, demandando allo spettatore il compito di stabilirne l’identità e deciderne il significato. Ciò che è più evidente in tutte le sue opere è la straordinaria energia che si sprigiona attraverso la pittura, un'energia che scaturisce dalle forze e dalle tensioni in gioco.
Viale Elisa Ancona, 6, Lissone, Italia
Orari di apertura
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