Nel giardino di villa Saluzzo detta il Paradiso, una nota residenza suburbana di Genova sulle pendici del colle di Albaro, un gruppo di nobili e alcuni ecclesiastici trascorrono amabilmente le ore: uno scalcinato muro li separa dal vasto paesaggio che si può godere da quel terrazzamento del parco. Dame, cavalieri, cicisbei e prelati le cui tonache chiare e scure costituiscono pause di luce, scandendo la sequela di vanità dell’insieme, sono osservati dal pittore che, in disparte, al servizio dei signori, ma non partecipe del loro mondo, è intento a ritrarre la scena, appuntando ogni particolare. Il tocco agile, guizzante e insieme preciso di Magnasco, con ironia e spirito critico, mostra lo sfaldarsi ormai inesorabile della società di ancien régime, che appare inconsapevole di quanto il proprio “paradiso dorato” sia insidiato dall’esterno, se un ragazzo dagli abiti sgualciti riesce, indisturbato, a scavalcare il muro diroccato. Tre quarti della composizione sono occupati dal panorama prospiciente la villa, vero protagonista, almeno quantitativamente, del dipinto; Magnasco ne dà una registrazione minuziosa, rivelando un’adesione al vero assai vicina allo spirito illuministico, per cui la veduta, che il formato inconsueto del quadro ricorda, è strumento di indagine e razionalizzazione dello spazio, per nulla in contrasto con il consapevole dissenso dell’autore verso le finalità decorative e celebrative in voga al suo tempo. La critica, ormai concordemente, colloca questa tela intorno al 1740, quando, tornato a Genova, sua città natale, Magnasco riproponeva temi e modi che lo avevano reso celebre a Firenze e Milano per la pur più conformista e meno aggiornata committenza genovese.