Nicolae documenta la dedizione di un pugile per l’arte della boxe thailandese. L’intima e silenziosa relazione tra il dispositivo di ripresa e l’atleta proietta lo spettatore tra i respiri, i movimenti e le vibrazioni di un corpo allenato per combattere.

L’installazione è composta da un inusuale sacco da boxe, diverso da un sacco tradizionale in quanto involucro vuoto e trasparente: una presenza fragile. L’ambiguità di senso che caratterizza questo elemento si manifesta anche nel momento performativo: un pugile di boxe thailandese colpisce il sacco vuoto per ore, trovandosi costantemente costretto ad adattare i propri movimenti all’impatto con una superficie che annulla l’efficacia della sua azione. Al termine dello scontro tutto ciò che rimane concretamente nello spazio è il sacco da boxe, inciso superficialmente dai colpi e dal sudore del pugile. In terra, i bendaggi per le mani utilizzati durante il suo combattimento con il vuoto. L’opera nasce dall’esperienza dell’artista con la boxe thailandese e ne riflette le complessità vissute. Durante la prima esposizione di Untitled, lo spazio espositivo era contemporaneamente abitato dai suoni di tre opere audiovisive incentrate sulla pratica del pugilato, che si sovrapponevano e si univano ai suoni prodotti durante la performance.

Autocostruire le proprie case e i propri spazi è l’unico modo per instaurare una relazione di crescita reciproca e di appartenenza con il luogo dove si abita. Esistono molti modi di abitare, ma l’essenza che li accomuna tutti è sempre quella di rendere proprio lo spazio per autodeterminarsi, proteggersi e rifugiarsi, con estetiche, forme e abitudini spesso simili e ricorrenti in culture molto diverse tra loro.

Autocostruire le proprie case e i propri spazi è l’unico modo per instaurare una relazione di crescita reciproca e di appartenenza con il luogo dove si abita. Esistono molti modi di abitare, ma l’essenza che li accomuna tutti è sempre quella di rendere proprio lo spazio per autodeterminarsi, proteggersi e rifugiarsi, con estetiche, forme e abitudini spesso simili e ricorrenti in culture molto diverse tra loro.

Edgy Time with Mom è un video fan-made interpretato dagli avatar di Jon Rafman e della mamma, Sandra, che si divertono in uno scenario modellato su Brand New Paint Job. Questo mondo saturo di texture rappresenta una sorta di vendetta nei confronti dell’insistente pratica di appropriazione di Rafman, per cui l’assorbente è a sua volta assorbito. Oltre a mettere in discussione l’autorità, autorialità e copyright, Edgy Time with Mom sollecita riflessioni sulla nozione di privacy e la dimensione affettiva in uno spazio virtuale dove lo stalking non è un’eccezione, ma la regola.

L’orizzonte degli eventi è una superficie immaginaria, che circonda i buchi neri, da cui nessuna informazione può uscire. Essa incarna il limite della conoscenza. Di fatto la serie di sculture All’orizzonte degli eventi è lo sforzo immaginifico di rappresentare dei frammenti di questo spazio invalicabile, attraverso dei corpi ambigui e chimerici, la cui superficie, di un nero riflettente, specchia l’esterno che li circonda, distorcendolo. Questa serie di cinque ceramiche, si situa all’interno della ricerca meta-linguistica dell’artista, ponendosi come affermazione dell’impossibilità di raggiungere la natura ontologica più profonda dell’opera d’arte.

Il viandante è una figura dalla natura misteriosa e celata, in ogni racconto in cui appare, dietro ad esso si può celare qualsiasi tipo d’entità. Nella serie Viandanti, le cinque mensole che la compongono si protendono come mani verso chi osserva offrendo cinque piccoli disegni in grafite creati a partire da immagini d’archivio. La relazione tra disegno e supporto vuole incarnare la stessa ambiguità propria della figura del viandante, che altro non è che uno spazio di possibilità immaginifica, pronto ad essere colmato da chi osserva, tentando di affermare l’idea dell’opera d’arte come manifestazione d’incertezza.

La stampa, in copia unica, è rendering in alta risoluzione del deserto sintetico costruito su Blender e set del video Desert Edification. L’immagine è sovrastata da una scrittura tratta dal flusso web tramite la ricerca del termine “desertification”. Nell’immagine il termine “desertification”, più volte ripetuto, è modificato con “desert-edification” per ribadire il ruolo attivo del corpo nella creazione di questi spazi inospitali. Desert Edification _Panorama raccoglie, su una panoramica del deserto virtuale, le parole chiave scelte dagli algoritmi del web concatenate a “desertification”, fra le altre: degradation, facing, Africa etc.

La sensazione di un incubo per me è come una gigantesca ruota immaginaria, che mentre si attorciglia su sé stessa ruota contro di te, sta vicinissima dietro di te e tu puoi solo correre in avanti con tutte le tue forze. Questa è una scena che ho proprio sognato. Il cervello che risponde allo stato del tuo corpo ha sintetizzato una scena semplice per esprimere il dolore, l’amarezza che provi; nonostante questa sintesi, è una scena molto vivida. Ispirato ai miei incubi e all’Incubo di Füssli, ho sostituito alla ruota gigante una bestia con una coda lunga che segna precisa il dettaglio: una cosa che riusciamo a cogliere solo nei brutti sogni. Ho fatto del mio meglio per rendere il peso dell’animale, per condividere questo sentimento di paura quando si ha un incubo.

All’interno di questi ricami irregolari vi sono dei sampietrini. Essi non svolgono più la loro funzione e quindi vengono abbandonati per la strada. Quello che vorrei fare è dare un nuovo volto alle cose. Attraverso il ricamo l’oggetto acquista un senso di protezione e una leggerezza tali da far perdere a sé stesso e agli altri il suo scopo primario. Il numero 12 è un valore che viene spesso attribuito al tempo. La luna, in un anno, compie il suo ciclo di rotazione 12 volte. 12 sono i mesi che compongono un anno. I materiali che uso sono strettamente legati al tempo e al suo scorrere. I sampietrini in questo caso hanno assunto per molto tempo la loro funzione di strada. Io uso oggetti piantati dall’uomo. Invece l’atto di ricamare mi fa dimenticare il tempo. Mentre li copro, il flusso temporale scorre come se non esistesse, ma allo stesso tempo mi ci immergo totalmente per osservare l’essenza delle cose.

Desert Edification volume 1 si pone come una raccolta di testi scientifici e divulgativi estrapolati dal flusso internet. I testi affrontano il tema della desertificazione da molteplici punti di vista: climatico, geologico, storico, etc. Nel libro le informazioni sono snaturate, la parola “desertification” è stata sostituita in più di 100 articoli con “desert-edification”. Il video vuole mettere in luce la confusione mediatica sulla progressiva desertificazione di territori abitati e coltivati a causa dello sfruttamento continuativo del suolo e il forte cambiamento climatico. Un tema che nonostante sia concreto e visibile è affogato da un surplus comunicativo che rende ogni voce autorevole un’opinione. Il titolo “desert-edification” invita a un rovesciamento del punto di vista: da un ruolo passivo ad attivo. La desertificazione implica infatti nella parola stessa una esternalizzazione della colpa e delle possibilità di azione, al contrario il paradigma antropocentrico a cui siamo abituati ha un ruolo centrale nella creazione di questi spazi inospitali. Le immagini espongono una condizione estraniante di un deserto sintetico costruito in uno spazio simulato, un cantiere perpetuo. L’audio è stato realizzato stratificando video estratti da YouTube con alto numero di visualizzazioni; uno degli speech più famosi è quello di Sir David Attenborough la cui voce sovrasta, insieme ad alcune di politici, quella di autorevoli esperti. Le immagini video sono state realizzate su Blender, un programma di progettazione 3D che consente la simulazione di spazi virtuali e il dialogo con Google Earth.