Lavoro notturno alla stazione Termini, del 1905, è rappresentazione in notturna di una banchina della trafficata stazione romana, occupata da poveri immigrati in attesa e impiegati di turno. La bella prospettiva centrale del marciapiede grigio rilevato fra i binari oscuri è sapientemente rischiarata dagli alti lampioni, dai grandi fari della locomotiva che sopraggiunge fra sbuffi di fumo, e dai fanali rossi del vagone che si allontana sullo sfondo, collegati in stretto gioco di richiami cromatici e formali alla luce aranciata della lanterna nelle mani del ferroviere immobile in primo piano. La sagoma scura dell’uomo - l’ombra del cappello calata sul viso denotato dai baffi severi - si duplica in quella della figura appena retrostante, analoga per posa e atteggiamento impassibile, indifferenti ambedue al destino del terzo individuo della scena, che giace supino in mezzo a loro seminascosto dal bagaglio di sacchi su cui è coricato. Sicuramente suggestionato dalle affini ricerche pittoriche sulla luce artificiale portate avanti da Balla, che come lui gravitava all’epoca nell’orbita romana, il Crema palesa contestualmente attenzione alle dinamiche dello sviluppo tecnologico e ai soggetti umanitari connessi alla problematica trasformazione delle condizioni dei lavoratori inurbati.