Vaso destinato a mescolare l’acqua e il vino in occasione dei banchetti, questo cratere è definito “a colonnette” perché il largo orlo piatto termina ai lati in due maniglie sostenute da sottili colonne appoggiate alle spalle del profondo corpo del vaso. La decorazione è suddivisa in due fasce: quella superiore presenta da un lato scene di battaglia tra guerrieri armati di lancia e scudo e dall’altro quattro cavalieri; nella fascia inferiore corre un fregio di animali con pantere, stambecchi e cervi alternati. 

L’Hydria, usata per attingere e portare l’acqua,  è un esempio delle ultime fasi della ceramica figurata greca. La decorazione  presenta una scena “di gineceo” con  tre figure femminili in peplo che reggono tra le mani  sciarpe frangiate, specchi, un vaso per profumi e una cesta di vimini. 

Il piccolo vaso ha un corpo schiacciato e un piccolo piede ad anello ed è decorato con fasce e linee parallele disposte orizzontalmente sul corpo e brevi trattini sulle spalle. Appartiene alla fase più tarda della cultura micenea.

Specchio di produzione tardo etrusca in bronzo frammentario e mancante del manico. Sul disco interno è incisa Lasa, un genio femminile alato. La figura nuda indossa un diadema, una collana ad anelli ed orecchini con pendenti;  la mano sinistra porta un alabastron, contenitore per profumi e cosmetici. 

Il Thymiaterion, un incensiere, ha la coppa ad emisfero munita di due prese forate per l’inserimento di una catenella per appenderlo o di un coperchio. È ornato da una linea di perle e ovuli e una decorazione a puntinatura con motivi vegetali, figurine di animali.  L’oggetto, di produzione etrusca, è legato al rituale funerario di sepoltura.

Il piccolo bronzo a fusione piena rappresenta, in maniera stilizzata, un guerriero a cavallo. Questa tipologia, originariamente armata di lancia e scudo, costituisce uno dei soggetti maggiormente diffusi nei santuari paleoveneti e questo esemplare per affinità tipologiche e tecnico-formali è probabilmente di produzione di area padovana.

Il bronzetto frammentario ai piedi, riproduce un suonatore di siringa in posizione frontale , a torso nudo, con una gonna svasata cinta in vita da un doppio cordone e decorata con motivi a losanga e una cuffia aderente . La figurina è una delle prime espressioni della plastica votiva paleoveneta, peculiare di questo ambito culturale e quindi estranea alla piccola bronzistica greca, etrusca ed italica.

La coppa con alto collo rientrante e due anse, è decorata nella porzione inferiore con motivi di plamette, rosette, margherite e le lettere che compongono la firma CLEME(N)S. La tipologia della coppa ebbe vasta diffusione nell’Italia settentrionale. 

La testa femminile ha il velo sporgente, i capelli divisi in ciocche rigonfie che incorniciano il volto e formano due grossi boccoli che coprono le orecchie; il volto ha forme piene e occhi allungati con palpebre rilevate e l’indicazione della pupilla. Questi oggetti di produzione medio italica erano destinati ad essere offerti in dono nei santuari dell’Italia centrale e meridionale di tradizione greca; in queste aree si preferiva la terracotta mentre nei luoghi di culto, etruschi, umbri e veneti era utilizzato il bronzo. 

Opera di una bottega scultorea greca della prima età ellenistica, la testa velata e barbuta rappresenta presumibilmente il dio Kronos, figlio di Urano e Gea. Il volto colpisce per l’intensa espressione matura e per i tratti patetici. Il pezzo era forse parte di una rappresentazione del dio in trono. 

La scultura raffigura un bimbo con la bocca semiaperta e gli occhi sgranati nell’espressione tipica dei volti infantili nel momento che precede il pianto. Si tratta di una replica abbastanza fedele di una statua famosa, nota in letteratura con il nome di “fanciullo con l’anatra” che raffigurava un bambino seduto che preme con la mano il collo di un’anatra. L’esemplare di Torcello è parte della tradizione copistica insulare o microsiatica fra la fine del II e I secolo a.C.

Nel diaspro è incisa una scena di sacrifico, molto articolata e complessa, composta da cinque personaggi, tre a sinistra di un’ara circolare con statua di divinità e intenti a condurre un ariete, e due a destra dell’ara. Questo soggetto non è per niente comune nel repertorio glittico romano e i pochi esempi di confronto collocano questo esemplare in una serie di età protoimperiale nella seconda metà del I secolo a.C. e fanno ipotizzare  la produzione di una officina di Aquileia

La pietra incisa raffigura, sui diversi strati cromatici della gemma, un guerriero con barba ed elmo con  cimiero e vestito di corazza. Il soldato posa a terra il ginocchio in primo piano e regge con il braccio destro il grande scudo bombato con al centro un gorgoneion. Si tratta di uno schema che, con varianti, è utilizzato a rappresentare l’eroe ferito. Il materiale impiegato per questo lavoro di età repubblicana è un calcedonio-agata tagliato “ad occhio magico”probabilmente per esaltare il valore protettivo della pietra che oltre che da sigillo doveva servire anche come amuleto.  

L’incisione in diaspro ritrae un cavallo con le briglie attorno al collo raffigurato di profilo verso sinistra con la zampa anteriore in secondo piano sollevata e un ramo di palma di fronte alla bocca. La presenza della palma indica che si tratta di un cavallo vittorioso ai giochi del circo. Si tratta di un soggetto molto diffuso nella glittica romana, l’esemplare di Torcello è stato probabilmente  inciso in una officina di Aquileia.

Il cammeo in sardonica a più strati, ritrae un busto femminile rivolto a sinistra cinto con corona d’edera che identifica il personaggio come Baccante, seguace del dio Dioniso. Si tratta di un soggetto molto diffuso nella produzione antica, ma questo esemplare è una realizzazione di imitazione degli inizi dell’Ottocento. 

La corniola disposta in orizzontale porta incisa una semplice scena di caccia: un cervo con le zampe superiori sollevate nella corsa è inseguito da un cane; sulla sinistra un alberello. Si può notare che l’incisore ha impiegato piccoli globuli per rappresentare le foglie dell’albero, gli zoccoli del cerco e le estremità delle zampe del cane. Il soggetto è attestato nel repertorio di età romana e questo esemplare è di probabile produzione aquileiese. 

La stele di forma rettangolare con timpano del tipo a pseudoedicola è articolata in nicchie a due registri sovrapposti. Il registro superiore accoglie i busti dei due coniugi, vestiti entrambi con tunica e mantello, ed  è caratterizzato dalla valva di conchiglia che fa da sfondo, presenza forse collegata al culto di Venere  in qualità di nume funerario e celeste. Nel registro inferiore sono scolpiti i busti di due bambini.  L’esemplare manca dell’angolo inferiore destro e di parte dei leoncini che decoravano gli angoli del timpano  e del coronamento del vertice.

La stele di tipo a pseudo edicola, ha i pilastrini laterali con decorazione vegetale ed ospita nella nicchia i due sposi ritratti nel tradizionale atto di stringersi la mano destra a simboleggiare l’unione coniugale, come pure il rotolo, documento ufficiale del matrimonio, nella mano sinistra dell’uomo. Sullo zoccolo compare l’iscrizione dedicatoria “Alla figlia Tattia Procula, figlia di Spurio, al genero Publio Valerio Servolo, liberto di Publio”. 

Lucerna con ansa a forma di luna crescente e due volute che affiancano simmetricamente il becco ogivale; sul disco all’interno di due cerchi concentrici è raffigurato un suonatore seduto.