Il titolo originale è Scena con neve sul fiume Sumida e si svolge a Edo, l’attuale Tokyo. Nella stampa è rappresentato l’attore kabuki Bando Shuka I (1813-1855) a passeggio sotto la neve mentre con entrambe le mani sorregge, alla sua destra, un ombrello. Egli indossa un kimono verde a motivi romboidali su sottoveste blu a fiori e obi giallo, coperto da un mantello bordeaux a disegni geometrici bianchi; ai piedi calza gli alti zoccoli, i geta. Nell’inserto in alto a destra è raffigurato lo scorcio di un tempio.

L’attore kabuki Iwai Kumesaburo II (1799-1836) è qui ritratto mentre brandisce la spada in una tipica posa teatrale (mie). Nessun elemento caratterizza l’ambientazione; la parte superiore della stampa, dato il colore molto scuro, non permette inoltre una buona lettura del testo scritto. Soltanto la firma dell’autore, “Kochoro Kunisada ga” (K.K. dipinse), è ben visibile accanto al personaggio. Questa stampa è la parte destra di un dittico (nella metà mancante è ritratto l’attore Ichikawa Danjuro VII).

La coppa presenta un ingobbio di colore viola-rosastro sul quale è dipinto il motivo centrale costituito da un grande uccello che domina la superficie interna dell’oggetto. L’animale è decorato con ampie campiture di colore bianco, delimitate da sottili linee nere e decorate, all’interno, da motivi curvilinei di colore nero. Le due ali dispiegate sono ornate da una fitta decorazione tracciata in nero su uno sfondo verde oliva. La testa è caratterizzata da un grande occhio nero. Becco e zampe sono dipinte in rosso pomodoro. Lo sfondo è decorato da motivi in nero, puntinati in bianco e rosso. In prossimità del bordo corre una cornice di colore bianco con caratteri pseudo-cufici in nero. Elemento distintivo della coppa è il grande beccuccio: con ogni probabilità il recipiente veniva utilizzato per mescere bevande.

Coppa a fondo piatto e pareti verticali, con tre appendici all’altezza del bordo in forma di testa animale, perforate per consentire la sospensione. La decorazione del fondo, in “sgraffiato” su ingobbio bianco e smaltata in bruno, giallo e verde, riproduce uno stambecco dalle lunghe corna ricurve, saltellante in mezzo a motivi vegetali nastriformi. L’immagine centrale è circondata da un largo anello con fitti tratti incrociati incisi. Le pareti interne sono ornate con triangoli e con motivi vegetali stilizzati; il bordo piatto è decorato con triangoli alternativamente gialli e verdi. Le pareti esterne sono ornate da fregi a “denti di sega”.

Scatola circa quadrata, coperchio con spigoli smussati che combacia col recipiente. La decorazione si staglia sulla superficie laccata nera in tre tonalità dorate, di cui una gialla più brillante (foglia) e una più opaca tendente al grigio. Si sviluppa sui quattro lati della scatola con il disegno poco variato di piante di crisantemo fiorite attorno ad una staccionata di bambù. Sul coperchio, una figurazione analoga viene ripetuta su due registri sfasati. L’interno della scatola presenta una laccatura nashiji rossastra e uniforme, con i bordi dorati.

Base di candeliere a corpo ottagonale con facce concave; spalla mancante, manico aggiunto. Sulle varie facce dell’ampia fascia centrale, entro archi polilobati, trovano posto scene con figure umane e animali incrostate in argento con aggiunta di agemina in oro, ispirate a scene di corte o di caccia. Nei campi ritagliati dagli archi si ripete un motivo di anatre in volo. Nelle strette fasce superiore e inferiore compaiono teorie di animali reali o fantastici. Il trattamento delle figure rivela i legami con l’arte della miniatura e l’influenza dei modelli sasanidi, in particolare nel caso del sovrano seduto frontalmente e dell’eroe che affronta il leone.

La piastrella è decorata in alto a destra dalla figura di un uccello, rappresentato nel momento iniziale del volo, con il collo inarcato, la testa rivolta verso il cielo, il becco aperto, le ali dispiegate e le zampe ancora pendenti verso il ramo dal quale si è staccato. Il corpo dell’uccello è di colore ocra, le ali presentano penne interne gialle e turchesi, penne esterne bianche e blu. Becco e zampe sono turchesi. Nel cielo al disopra dell’uccello si intravedono lembi di nuvole verdi. Sulla sinistra della mattonella corre un bordo arabescato, costituito da viticci intrecciati su un fondo blu cobalto delimitato da una sottile cornice turchese. I viticci hanno fogge e colori differenti: uno sottile di colore bianco, intervallato da piccole foglie sempre bianche e da foglie più ampie, simili a palmette, di colore ocra; l’altro più robusto e di colore giallo e verde che sembra svilupparsi da due semicorolle di fiori di loto. Questa piastrella proviene dallo Shah Abbas Palace, situato sulla “Piazza Reale” di Isfahan.

Il commentario, attribuito al Profeta, è stato compilato e tradotto dal poeta persiano Ahmad al-Jami (1414-1492) ed è stato copiato dal calligrafo Muhammad al-Sabzevari. Il testo arabo (in grandi caratteri muhaqqaq) è scritto in oro con vocalizzazioni in blu, quello persiano in caratteri rayhanipiù piccoli in nero. Le separazioni interlinea e intercolonna sono tracciate in oro. I primi due fogli sono miniati in oro e colori. Un’altra copia di questo stesso testo dovuto allo stesso scriba, ma datato 1499 si trova alla Bibliothèque Nationale di Parigi.

Pregevole frammento dell’alone luminoso di una grande statua che richiama le caratteristiche dell’ingente produzione di elementi decorativi dovuta agli artigiani Newar operanti nell’area di gDan-sa-mthil verso la metà del XV secolo. L’elegante sviluppo di un vegetale rampicante disegna successive volute circolari al cui interno sono collocate le figure di Avalokiteshvara Shadakshari e di Nilambara Vajrapani. Le figure delle due divinità si stagliano nei cerchi lavorati a giorno poggiando su larghi e sottili fiori di loto. La fascia è limitata esteriormente da un filo di perle e da un bordo di fiamme ordinatamente orientate che richiamano i petali frastagliati di una corolla di loto.

Il nucleo centrale è costituito dalla parte convessa (bum-pa) di uno stupa che doveva saldarsi ad un sottostante tamburo e ad un basamento che non è dato stabilire se fosse originariamente in legno, pietra o metallo. Sul tamburo si collocavano, nelle quattro direzioni dello spazio, le quattro figure dei Jina in rame sbalzato e dorato. Il bum-pa è sovrastato da una harmika di forma tipicamente nepalese, al disopra della quale si eleva una cuspide formata da nove anelli e terminante in una amalaka su cui poggia il sostegno di una sfera di cristallo di rocca. L’ulteriore sviluppo in altezza, retto da una sovrapposta struttura metallica, è probabilmente un’aggiunta posteriore. Presenta una successione di tre chattra (parasoli come segno di regalità), ancora una amalaka e una nuova cuspide culminante nel gioiello simbolo dell’irradiarsi della Dottrina.

Ampolla ad alto collo e corpo ovoidale, usata come contenitore di acqua profumata. La decorazione, divisa sul corpo in tre registri orizzontali, è basata esclusivamente su arabeschi intrecciati di sottili fili d’argento. Il registro centrale, più ampio, mostra un fittissimo intrico che rivela la sua lontana origine vegetale; i due registri superiore e inferiore, molto più stretti, riflettono anch’essi disegni di liane e viticci e sono suddivisi ciascuno in quattro settori da piccole rosette. Al disotto del registro inferiore si ha una corona di piccole perle; sulla parte bombata al disopra della spalla si ritrovano i motivi della fascia centrale. Il collo presenta un primo breve tratto troncoconico seguito da un rigonfiamento quai sferico e poi da un lungo cono sottile che culmina in una bocca sferoidale.

Testo completo della prajñaparamita (La Sapienza Trascendente) in ottomila versi, dotato di entrambe le copertine lignee, riccamente intagliate e dorate. Il volume consiste di 374 fogli di cm 20 x 70, scritti in oro su fondo indaco. Sul frontespizio in cartone spesso, decorato con miniature, le lettere iniziali sono disegnate in rilievo e dorate. Le 12 miniature presenti nel testo sono nello stile delle thang-ka del XIV o del primo XV secolo (St. M. Kossak e J. Casy Singer: Early Paintings from Central Tibet, p.109, N°24). Il colofone dell’ultimo foglio, che dovrà essere meglio studiato, appare poco leggibile: vi compaiono i nomi di due personaggi, padre e figlio, di cui non si è finora trovata notizia in fonti storiche note.

Il paravento raffigura uccelli e piante in un paesaggio lacustre innevato. La foglia d’oro, applicata ad arte su buona parte del dipinto, crea un effetto di nebbia dorata che avvolge la composizione. Sullo sfondo, in alto a destra, sbucano le vette arrotondate dei monti circostanti. Alcuni caratteri stilistici, visibili soprattutto nel modo di rendere i fiori, ricordano la scuola di pittura Rimpa, che fu fondata nel secolo XVII. L’opera è firmata “Mitsunobu”, un nome che richiama sia il fondatore della scuola Tosa (1434-1522) sia un altro pittore famoso della scuola Kano (1561-1608) e che frequentemente compare tra i pittori dei secoli successivi.

Tamon-Ten, guardiano del Nord corrispondente all’indiano Vaishravana, è il capo dei Re Celesti che sono preposti ai quattro punti cardinali e abitano il Monte Meru come protettori del Mondo e della Legge buddhista. A partire dal IX secolo divenne oggetto di un culto popolare in Giappone che lo rese in certa misura indipendente dagli altri tre Re Guardiani e fu venerato in particolare come dio della prosperità.Ha il volto di un guerriero ed è rivestito da una armatura composita di tradizione cinese, con le spalle coperte da protomi animali che evocano il makara indiano. Le rocce stilizzate dello zoccolo simbolizzano il Monte Meru.

La figura del Buddha Akshobhya è dipinta in oro al centro della thang-ka, in vajrasana e bhumisparshamudra sul trono degli elefanti. L’immagine è disegnata sull’oro con sottili linee rosse. Ai suoi lati sono dipinti i bodhisattva Maitreya e Manjushri, ritti su due corolle di loto, reggendo gli steli di fiori su cui poggiano i loro consueti attributi, il kalasha e la spada, rispettivamente. Al disopra dell’aureola si trova una piccola figura dello stesso Buddha sormontata da un baldacchino. Ai lati sono dipinti templi, stupa e scene di devozione; in basso al centro il Re Guardiano dell’Est. L’oro della figura centrale e di tutte le piccole immagini che riempiono lo spazio residuo fa sì che quest’opera appaia alla vista quasi come una thang-ka dal fondo dorato (gser-thang).

Scatola è bassa e rotonda con coperchio. L’intera superficie dell’oggetto è laccata di nero, con decorazioni maki-e in oro e argento (tralci di rampicante che si avvolgono attorno a un traliccio, carichi di frutti). Lo specchio rotondo (d. 11 cm) è del colore dell’ottone, con decorazione in rilievo sul retro (paesaggio stilizzato con una famiglia di gru su uno sfondo di pini. In altro campeggia un grande motivo a stemma di paulonia (kiri). In basso a destra l’impronta ovale di un sigillo con tre caratteri in verticale: “una cosa unica, la migliore sulla terra”.

Inrō composto da cinque compartimenti impilati a sezione ellissoidale, con coperchio e fondo bombati. L’esterno è laccato e dorato, e la decorazione è finemente dipinta in varie tonalità d’oro, argento e pigmenti. Il paesaggio raffigurato, che si estende seguendo direttrici orizzontali e diagonali, occupa l’intera superficie dell’oggetto: si tratta di uno scenario immaginario che condensa in miniatura tutte le 53 stazioni della Tōkaidō, ognuna identificata dal corrispondente cartiglio verticale. Montagne e alberi stilizzati, fiumi e giunche, ponti ed edifici sono a tratti celati da nubi lenticolari. Su una banda longitudinale del fondo c’è la firma in oro e il piccolo timbro rosso dell’autore. L’interno degli scomparti è in lacca nashiji rossastra.

Recipiente rituale di bronzo (jue) atto a contenere e consumare, forse anche a riscaldare, il vino di cereali. Presenta un corpo cilindrico dal fondo arrotondato, innestato su tre piedi a punta divergenti verso il basso. L’orlo si allarga notevolmente verso l’alto, e termina da un lato in un lungo labbro appuntito, dall’altro in un lungo e largo versatoio. I pilastrini sovrastanti presentano una sezione triangolare, mentre i pomelli hanno una decorazione a vortice. La decorazione, in rilievo alquanto grossolano, consta di un’unica fascia mediana, la cui continuità è spezzata solo dall’attaccatura dell’ansa. Sul lato opposto all’ansa, la decorazione è costituita da una variante singolare della maschera di taotie, caratterizzata da due occhi posti ai lati del suo asse mediano, al di sopra dei quali si trovano due forme piatte a mandorla (altri due occhi?).

Il vaso ha pancia arrotondata e schiacciata e piede cavo a profilo svasato. L’alto collo si allarga progressivamente verso l’ampio orlo everso. Le pareti sono decorate a fasce orizzontali con pigmenti bianco, rosso, nero, verde pallido e “porpora Han” (fra il grigio-azzurro e il violetto) sul fondo grigio scuro dell’impasto. La fascia decorativa principale è delimitata in alto da una striscia bianca fra due bande rosse e in basso da una striscia a risparmio ancora fra due bande rosse. La decorazione dipinta rappresenta una scena di caccia, con un cavaliere al galoppo in atto di scagliare una freccia e un daino che si volge verso il suo inseguitore. Cavallo, e cavaliere spiccano in bianco su fondo scuro, mentre un contorno bianco disegna la massa nera del daino.

Il vaso è stato lavorato al tornio, quindi decorato con elementi applicati e figurine a tuttotondo modellati individualmente. Il tutto è stato infine ricoperto da una vetrina abbastanza uniforme che si ferma qualche centimetro sopra la base. Sopra la spalla il vaso è cinto da un collarino everso che sorregge un folto gruppo di personaggi, tra cui quattro Buddha e figure animali. Il secondo livello di decorazioni a tuttotondo, nella parte inferiore del finto coperchio, è caratterizzato da quattro vasetti attorniati da una moltitudine di uccellini svolazzanti. La sommità è contraddistinta da un modellino di complesso architettonico. L’iconografia complessa di questi recipienti simbolici è rivelatrice del sincretismo che pare abbia permeato il rituale funebre della regione del Basso Yangzi nel III secolo. Le immagini buddhiste sono associate all’iconografia tradizionale del buon augurio, destinata a proteggere l’anima del defunto.

Il Buddha è morbidamente disteso in parinirvana sul fianco destro, con il capo sorretto dal braccio corrispondente e il gomito poggiato al suolo. La mano, semiaperta in posizione naturale, è appoggiata alla testa solo con parte del palmo. Il braccio e la spalla sono lasciati scoperti dall’uttarasanga. Il braccio sinistro, coperto invece dal samghati, è adagiato sul fianco e segue le delicate curve del corpo: la mano poggia sulla coscia sinistra. Questa gamba è leggermente flessa, fino a sfiorare il suolo con il ginocchio; la destra sottostante è distesa, e entrambe sono coperte sopra le caviglie dall'antaravasaka che ricade in larghe falde. I piedi, nudi, sono poggiati l’uno sull’altro. La capigliatura, fittamente ricciuta, culmina in un grande ushnisha arrotondato. Il volto dell’Illuminato, incorniciato dalle orecchie con i lobi allungati, è sorridente e sereno: gli occhi incastonati in onice e in madreperla sono socchiusi, con l’orlo delle palpebre disegnato in rosso.

In questa stampa si riconosce l’attore kabuki Iwai Hanshiro V (1776-1847) mentre esegue la “danza della volpe”, probabilmente inserita nel dramma Yoshitsune e i Mille Ciliegi. In primo piano l'attore è colto mentre danza vivacemente, poggiando sul piede sinistro e reggendo con la mano destra un piccolo tamburo. Il movimento della scena si concentra unicamente in questa figura, mentre alle sue spalle l'impostazione è molto più rigida: il cantante e il suonatore di shamisen sembrano fare da puro sfondo - seppure i dettagli e i colori degli abiti siano curati. Persino il tratto usato appare differente: morbido e flessuoso per l'attore, duro e spezzato per i musicisti.

Il frammento, parte muraria di un tempio, presenta due figure a rilievo poste su due superfici parallele sfalsate: sulla parte prominente del frammento è scolpita un’immagine di Shiva, sulla parte arretrata l’immagine di un vyala rampante. La parte architettonica e le sculture che ne decorano la superficie sono perfettamente compatibili con le decorazioni murarie dei templi di Khajuraho. Shiva, accompagnato dal piccolo toro posto ai suoi piedi, poggia su un basamento aggettante. I canoni stilistici delle sculture di Khajuraho si ritrovano nel fisico sottile della divinità e nella curva armoniosa e quasi innaturale che segna la postura del corpo. Sulla superficie muraria arretrata si trova l’immagine rampante di un vyala, che come nei templi di Khajuraho, è raffigurata con una piccola figura femminile sotto il corpo eretto e un personaggio a cavalcioni sul dorso. Di grande impatto figurativo il movimento impresso ai tre corpi.

Orcio dal corpo piriforme, con un alto collo rigonfio e configurato. La decorazione dipinta, nera su un fondo ocra rosso molto liscio e alquanto uniforme, interessa soltanto la parte superiore del vaso sopra le anse. Il singolare collo, a base troncoconica, si rigonfia nella parte alta a formare una sorta di bulbo, per poi richiudersi con un orlo stretto e diritto dalle pareti sottili. Una testa antropomorfa è modellata tra l’orlo e la parte superiore del rigonfiamento. Due alette perforate, proprio sotto l’orlo, rappresentano le orecchie. Gli occhi a fessura del personaggio raffigurato sono in leggero rilievo; il lungo naso storto segna il passaggio al rigonfiamento sul collo del vaso; la bocca è semplicemente modellata con pasta d’argilla. Scendendo ancora, quasi al centro della sfera, due piccole protuberanze laterali sembrano riprodurre delle mammelle.

Figura stante sopra un alto piedistallo. Il dignitario veste una tunica lunga fino ai piedi, le punte che appena ne fuoriescono, sotto una giacca più corta con il lembo sinistro incrociato sul destro. Ha enormi maniche con risvolto che scendono oltre l’orlo inferiore della giacca stessa. Il volto ha tratti orientali, ed è caratterizzato dal “copricapo a cresta” (liangguan) indossato dai funzionari civili. La testa e il collo erano dipinti a freddo: tracce di pigmenti neri, rossi e arancio sono riscontrabili sopra un ingobbio leggermente rosato e instabile. Il resto del corpo è invetriato nei colori ocra, verde e crema. Questa statua dovrebbe essere stata prodotta all’inizio del secolo VIII nello Shaanxi o più probabilmente nello Henan, dove la tecnica dell’invetriatura a tre colori (sancai) fu messa a punto. Insieme con Cc/2a era uno dei due funzionari che si trovano spesso nel medesimo contesto funerario.

La scultura, nel tardo stile Cola, mostra la figura di Shiva quale maestro di tutte le arti e scienze e signore della conoscenza – tale immagine, tipica del sud, è definita Jnana Dakshinamurti. Shiva è seduto nella posizione eroica del virasana; sotto il piede destro Dakshinamurti schiaccia il nano simbolo dell’ignoranza (apasmarapurusha). La piccola figura è sdraiata a terra davanti all’alto seggio di forma trapezoidale che raffigura, in forma di semplice roccia, il monte Kailasa. Con la mano destra posteriore Dakshinamurti tiene un cobra, dalla caratteristica testa a cappuccio; con quella anteriore mostra il gesto della trasmissione della conoscenza, jnanamudra; con la mano sinistra posteriore regge una torcia di fuoco (agni); la mano sinistra anteriore, portata davanti all’addome con il palmo girato verso il basso e l’esterno, tiene un piccolo libro.

L’aureola dalla forma a mandorla incornicia il volto largo e aggraziato della divinità, coronato da un alto kirita-mukuta: la forma allungata del nimbo esalta così i contorni della testa, resa imponente dalla corona. I grandi occhi, dalle ampie sopracciglia arcuate che si allungano verso il contorno del viso, e il naso corto e sottile - sebbene spezzato - rendono spazioso il volto. Le labbra carnose e arcuate mostrano un delicato sorriso che sembra mettere in rilievo gli zigomi rotondi. I lunghi lobi delle orecchie, ingentiliti da orecchini ad anello in forma di corolla di fiore, e le tre pieghe del collo spezzato impreziosiscono e adornano il bel viso della divinità. L’alta corona a cilindro, dal tratto più austero, è impreziosito da un grande monile centrale a tutta altezza. Il bordo del nimbo liscio è segnato da una cornice di grosse perle squadrate e, nella porzione più esterna, da un motivo a dentelli emisferici che simboleggiano, in forma di raggi, lo splendore solare emanato da Vishnu.

La figura rappresentata ad altorilievo sulla stele, posta probabilmente sulla superficie muraria di un tempio, mostra la caratteristica movenza del corpo denominata tribhanga, definita dalla postura sporgente del fianco destro, dall’inclinazione del busto e della testa, curvati lievemente verso sinistra e dal braccio destro arcuato sopra la testa. La posizione del braccio alzato sopra la testa, con la mano che afferra un ramo dell’albero, è quella strettamente canonica della shalabhanjika, colei che spezza un ramo dell’albero shala. Il viso largo e aperto presenta gli occhi allungati e lievemente sporgenti, messi in risalto dall’alto arco delle sopracciglia arcuate. Ai piedi della figura si trovano due piccole attendenti. I tratti stilistici della figura sono quelli della tradizione plastica del periodo medioevale indiano nella sua variante centro-occidentale.

cavallo, modellato in maniera alquanto realistica, poggia in postura dinamica su una sottile base, con la zampa anteriore destra sollevata in maniera aggraziata. La testa è leggermente girata verso sinistra, accentuando in questo modo l’impressione generale di movimento. Il corpo e gli arti dell’animale sono robusti, il petto possente, i particolari del muso resi in modo fine ed efficace con una particolare attenzione alla muscolatura sottopelle. La criniera, suddivisa in due ciuffi davanti alle dritte orecchie, si dispone in lunghe arricciature parallele ed ordinate sul lato sinistro del collo. Il cavallo è ricoperto quasi per intero di ingobbio bianco ed è privo di finimenti.

Il volto, dall’intensa espressività, raffigura un personaggio maschile maturo, con i capelli e la barba morbidamente ondulati. La capigliatura, modellata probabilmente sull’ultimo strato di stucco applicato, si presenta alta e voluminosa, con ampie volute ai lati della testa e un grande ricciolo a conchiglia sulla fronte. La bocca è ben disegnata, con il labbro superiore lasciato libero dai grandi baffi arricciati in fondo; le folte sopracciglia sono segnate da alcuni tratti ondulati incisi. Gli occhi, privi di pupilla, sono del tutto aperti e lievemente infossati, con le palpebre quasi completamente celate dall’arcata sopraccigliare. Sulle labbra e sulle orecchie sono presenti tracce di colore rosso; sulla barba, sui baffi e sugli occhi si notano lievi rimanenze di un pigmento scuro. Il carattere stilistico dell’opera è simile a quello di alcuni reperti provenienti dalla zona di Hadda.

La linea di frattura trasversale in alto a destra del frammento corre paradossalmente quasi parallela alla linea immaginaria che congiunge lo sguardo del Buddha, sulla destra, con quello dell’asceta, dai lunghi capelli e dalla folta barba, rannicchiato in atteggiamento devozionale ai suoi piedi. Il Buddha è raffigurato stante, con il viso girato di tre quarti. Una doppia curva gentile, che interessa i fianchi e la testa del Buddha reclinata in avanti, mette in risalto il gesto benevolente dell’abhayamudra compiuto con la mano destra. L’asceta, accovacciato ai piedi del Buddha davanti a una capanna ricoperta da pannelli di erba e paglia disposti orizzontalmente l’uno sull’altro, indossa uno yajnopavita e tiene con le mani un kamandalu.

Frammento di rilievo che rappresenta l’assalto dell’armata di Mara; il pannello è delimitato ai lati da due semicolonne con capitello gandharico-corinzio; in alto il rilievo presenta una cornice con un motivo di dragoni alati che si susseguono. Nel pannello narrativo sottostante il Buddha siede in padmasana su un basso trono, circondato dai demoni dell’armata. I capelli sono raccolti sulla sommità del capo a formare l’ushnisha; la mano sinistra trattiene un lembo della veste monacale e la destra è rivolta in basso a invocare la terra come testimone del suo diritto a raggiungere l’illuminazione, nel gesto della bhumisparshamudra. Alla sinistra del Buddha in primo piano è visibile Mara, con mantello, turbante e voluminosi orecchini cilindrici, nell’atto di estrarre una grossa spada dal fodero. I demoni dell’armata, disposti su tre lati, sono provvisti di baffi e indossano una corazza a losanghe; ai piedi del trono si collocano tre demoni sconfitti e schiacciati a terra.

Il Buddha siede su un doppia corolla di loto posata su un trono sorretto da tre leoni, che poggia a sua volta su un piedistallo fiancheggiato da due monaci in atteggiamento devoto. La perfezione della fusione è tipica della superiore qualità tecnica della statuaria bronzea di Lan Na. La veste monastica dalle pieghe accuratamente disegnate e priva di cintura rivela il corpo sottostante ben modellato. Il lembo dello scialle che pende dalla spalla sinistra terminando in un doppia “coda di pesce” si ferma all’altezza del capezzolo, come è tipico dello stile Lan Na del XVI sec. Le spalle larghe, il petto e l’addome pieni, le braccia lunghe e tornite, le gote e il mento morbidi e le labbra carnose sono tutti elementi proprii di questo stile. Non comune è la presenza alla base del trono di un terzo leone al centro, accanto ai due posti ai lati che sono normalmente presenti in questa iconografia: il ruggito del leone (simhanada) evoca la voce del Buddha che penetra lo spazio divulgando la Dottrina.