Pietra dipinta nota come lo Sciamano. Tra le opere d’arte in ocra rossa rinvenute a Grotta di Fumane e riferibili all’attività artistica dei primi Sapiens, la più famosa è questa pietra che raffigura un personaggio che indossa un copricapo.

L'immagine stilizzata dello “Sciamano” rappresentata sul logo del Museo Archeologico Nazionale di Verona è il cosiddetto "sciamano" di Grotta di Fumane (40.000 BP, Paleolitico superiore).

Si tratta di una pietra calcarea dipinta in ocra rossa e rappresenta una delle più antiche espressioni pittoriche europee. Questa pietra è il reperto icona di Grotta di Fumane ed è ad oggi una delle più antiche figure teriomorfe del pianeta. La figura è alta 18 cm e il suo asse tra collo e inguine corrisponde a una piccola cresta del supporto roccioso, mentre gli arti inferiori si divaricano con andamento arcuato in corrispondenza di una concavità. All’altezza dell’ombelico si notano due piccole prominenze laterali, non simmetriche. Più in basso il corpo si allarga in corrispondenza del ventre. A lato e sotto l’arto inferiore destro si nota un’area colorata. Due prominenze simmetriche rivolte verso l’esterno si staccano dal capo: sono interpretate come corna o, forse, tutto l’insieme potrebbe essere letto come la silhouette di una maschera. Sotto il collo ben distinto, due tratti simmetrici disposti normalmente all’asse principale del corpo rappresentano gli arti superiori; essi terminano con due tratti più brevi, rivolti verso il basso, che possono corrispondere alle mani. La destra sostiene un oggetto che pende, costituito da una parte superiore e da una inferiore dalla quale si staccano quattro tratti disposti a croce di Sant’Andrea: si ritiene possa trattarsi di un oggetto rituale. La pietra dipinta potrebbe raffigurare la sagoma di uno Sciamano, vista di fronte, ma non è escluso che la linea del corpo inferiore, al di sotto delle due prominenze laterali, possa rimandare a un teriomorfo, figura di uomo-animale nota nell’arte aurignaziana.

Vaso a bocche multiple dal Laghetto del Frassino, recuperato durante lo scavo archeologico della Palafitta del Laghetto del Frassino presso Peschiera del Garda (VR) e datato all’Età del Bronzo antico. 

Il vaso a bocche multiple, datato all’Età del Bronzo antico, è stato recuperato durante lo scavo archeologico della Palafitta del Laghetto del Frassino presso Peschiera del Garda (VR). Il sito palafitticolo di Frassino, frequentato a partire dell’antica età del Bronzo, sorge lungo la sponda sud-occidentale di un lago morenico, circondato dai vigneti del Lugana, non lontano dal Santuario della Madonna del Frassino. L'area archeologica sommersa, nota fin dall'inizio del Novecento, si trova a circa tre o quattro metri sotto le acque del lago. Recenti ricerche indicano che l'insediamento fosse esteso anche nell'area attualmente in terraferma, fino a circa settanta metri dall'attuale litorale. Sono state rinvenute ceramiche con decorazioni incise, conchiglie, metalli e utensili in osso, pietra e legno. Questo importante sito archeologico, insieme ad altri importanti siti palafitticoli dell’Arco Alpino, è inserito dal 2011 nel Patrimonio dell’umanità – UNESCO. 

Tazza dell’Età del Bronzo antico e alcuni resti paleobotanici, tra i quali una spiga carbonizzata di farro, rinvenuti nel sito del Belvedere (Peschiera del Garda), un sito archeologico sommerso di notevole estensione, lungo la sponda meridionale del lago, ad una profondità media di circa tre metri.

Spada ripiegata da Pila del Brancon, rinvenuta insieme a diversi altri oggetti metallici quali cuspidi di lancia, pugnali ed elementi laminari contorti riferibili all’Età del Bronzo finale.

Particolare di una spada proveniente dal sito di Pila del Brancon, a breve distanza dalla necropoli di Olmo di Nogara. Tra gli oggetti metallici rinvenuti all'interno del sito si segnalano spade ripiegate, cuspidi di lancia, pugnali ed elementi laminari contorti. Il notevole stato di conservazione dei reperti è dovuto al particolare luogo di rinvenimento, prevalentemente torboso, in prossimità del fiume Tartaro. I materiali possono essere riferiti ad una fase iniziale dell'età del Bronzo finale. 

L’esistenza di contatti ad ampio raggio durante l’Età del bronzo è testimoniata dalla diffusione di alcuni oggetti d’ornamento, tra cui gli spilloni in bronzo con la testa a disco. Lo spillone scoperto presso la palafitta de La Quercia a Lazise è lungo più di 50cm, ha larga testa a disco e gambo ritorto.