Proviene dalla collezione di Riccardo Gualino, ma apparteneva nel Settecento alla raccolta di Girolamo Crispi, arcivescovo di Ferrara. È nota anche come Madonna delle ciliegie, per via dei due rami raffigurati in alto, pendenti dall’arco. Le ciliegie (secondo la leggenda frutto originario dalla città di Kerasus nel Mar Nero, dove si svolse nel 71 a.C. la battaglia dei Romani contro Mitridate, e da qui portato in patria dal generale Lucullo con il nome latino di “cerasea”) assumono con il Cristianesimo un forte significato simbolico, in quanto il colore del loro succo rimanda al sangue versato da Cristo sulla croce per la redenzione umana. Alla connotazione eucaristica si aggiunge inoltre, in relazione al soggetto mariano, un evidente richiamo all’amore materno e all’istinto di rassegnata protezione verso il Bambino da parte della Vergine a conoscenza dell’ineluttabile destino. Alcuni elementi dell’opera come lo scorcio prospettico da sotto in su dell’edicola architettonica, l’espressività dei volti, le forme allungate, le dita sottili e affusolate della Madonna, il copricapo sinuoso e l’andamento tortuoso dell’orlo del suo manto di gusto ancora tardo gotico sono motivi caratteristici dello studiolo che Leonello d’Este fece realizzare nella delizia di Belfiore intorno alla metà del Quattrocento. L’opera va ricondotta proprio allo straordinario clima culturale che si sviluppò a Ferrara a partire da questi anni, trovando significativi confronti stilistici con l’attività giovanile di Ercole de’ Roberti e con la decorazione del ciclo dei Mesi realizzata ad affresco in Palazzo Schifanoia, in particolare con il maestro attivo nel mese di Agosto che si è proposto di identificare con Gherardo di Andrea Fiorini di Vicenza, da cui Ercole fu a bottega. Iscrizione sul verso «Opera/ di Cosmo Turi altri… /detto Gosmè/ Pittor celebre Ferrar…/del sec.XV» Zoom inZoom inZoom outZoom outGo homeGo homeToggle full pageToggle full page